Una stimolante iniziativa di R&A ha portato recentemente ai microfoni dell’intervistatrice una giocatrice professionista (Video: Matthew) e, successivamente, un arbitro internazionale (Video: Zonchello).
Ne è uscita una interessante versione sul rapporto che i giocatori hanno con le Regole del Golf che lascia spazio a diverse riflessioni sul ruolo dell’arbitro.
Ma andiamo con ordine.
L’intervista con la giocatrice professionista era sostanzialmente indirizzata a conoscere che cosa si aspetta un giocatore da un arbitro durante un torneo.
La giocatrice ha esordito facendo una serie di ammissioni: in particolare ha riconosciuto che i giocatori non solo non conoscono nel dettaglio le regole, ma non sono neppure interessati a conoscerle a fondo e per non sbagliare (soprattutto nei tornei dove c’è la TV) chiamano l’arbitro, anche per situazioni per nulla complicate, al solo scopo di essere sollevati da ogni responsabilità.
Ha ammesso anche che a volte il giocatore che ha la palla “messa male” chiama un arbitro, pur sapendo che non c’è molto da fare, con la sola speranza che l’arbitro sappia qualcosa che lui non sa (… o magari che l’arbitro faccia un errore …) e ha ammesso che spesso poi il giocatore finge di non essere soddisfatto del ruling ricevuto pur sapendo che non c’erano altre possibilità.
Ciò detto, la giocatrice sottolinea l’esigenza che l’arbitro chiamato in causa sappia il fatto suo. Ogni titubanza (o bisogno di dover approfondire per individuare esattamente cosa dice la regola applicabile) genera immediato disappunto e nervosismo da parte del giocatore che vorrebbe solo risposte veloci e certe: poche parole per descrivere le opzioni a disposizione senza perdersi in dettagli (o, peggio, dubbi interpretativi) che, come detto prima, ai giocatori non interessano. La professionista sembra quasi suggerire l’idea che sia meglio avere a che fare con un arbitro che sbaglia ma ostenta sicurezza e immediatezza nelle risposte rispetto ad un arbitro più scrupoloso e preciso ma troppo meticoloso ed esitante.
Comunque, conclude, difficilmente un giocatore chiede una second opinion principalmente per non ritardare ulteriormente la ripresa del gioco “… tanto (nella sua esperienza) la second opinion non smentisce mai il primo parere e quindi è solo una perdita di tempo inutile.”
Si delinea un profilo del giocatore professionista concentrato unicamente sulla tecnica esecutiva dei colpi (l’aspetto meramente tecnico/atletico del golf), che trascura di approfondire la conoscenza delle Regole e che lascia agli arbitri il compito (e la responsabilità!) di stabilire quello che si può o che si deve fare in tutte le situazioni di gioco meno scontate.
L’intervista con l’arbitro internazionale, invece, mette in risalto l’aspetto amichevole e di aiuto che gli arbitri vorrebbero tenere nei confronti dei giocatori pur mantenendo uno scrupoloso rispetto delle regole a tutela degli altri giocatori partecipanti alla manifestazione.
L’arbitro ha voluto descrivere il proprio ruolo come quello di un professionista preparato per assistere il giocatore nelle circostanze in cui questo, trovandosi in difficoltà, potrebbe avere dei dubbi sulla corretta gestione della situazione. Ha sottolineato l’importanza di porsi gentilmente nei confronti del giocatore, evitando atteggiamenti inquisitori, e rendendosi disponibile a chiarire la situazione in cui si trova per individuare le possibili alternative a sua disposizione.
L’arbitro suggerisce altresì di porre grande attenzione e cautela nell’identificazione delle regole applicabili ricordando che non tutte le situazioni che si presentano in campo si trovano scritte sui libri e che anche l’arbitro più preparato può sbagliare. Conclude quindi fornendo ai propri colleghi il consiglio di non essere troppo “sicuri di sé” e di mantenere il beneficio del dubbio in ogni occasione, non escludendo il ricorso all’aiuto dei colleghi prima di prendere una decisione.
Insomma, sembrano due mondi che fanno un po’ di fatica ad incontrarsi: l’uno che vorrebbe avere a che fare con un arbitro deciso e risoluto e che non faccia perdere troppo tempo, e l’altro che predica prudenza, attenzione ai dettagli e, se del caso, ricorso ad una second opinion.
Su un aspetto importante si può però convenire: nelle competizioni di un certo livello il compito degli arbitri è principalmente quello di aiutare e non di punire; d’altronde a certi livelli (e con spettatori presenti e telecamere puntate) è difficile che i giocatori compiano atti di mala fede, considerate anche le severe sanzioni. E, come spesso notiamo, basta anche solo che debbano fare un semplice droppaggio che chiamano l’arbitro.
Lasciamo ora il contenuto delle interessanti interviste incentrate sul mondo del golf professionistico e proviamo ad entrare nel mondo delle gare di circolo; qui l’arbitro si trova oggettivamente in un contesto molto diverso. Sebbene il concetto di “integrità” valga tanto sul tour quanto nelle c.d ‘coppe fragola’, è innegabile che a livello di gare di circolo:
– la conoscenza delle regole è bassa;
– la frequenza degli atti di malafede è relativamente alta;
– il mancato controllo sottostima i dati di cui sopra.
Non crediamo si possa, pertanto, porre questi due mondi così diversi sullo stesso piano.
Nelle gare di circolo l’arbitro non dovrebbe attendere solamente di essere chiamato per un ruling (ruolo di “consulente”) ma anche girare per il campo con il ruolo di “educatore” o di “guardiano” a seconda delle circostanze: laddove individuasse dei giocatori in difficoltà dovrebbe intervenire chiarendo loro la regola applicabile e la procedura da seguire, ma quando si imbattesse in un comportamento palesemente scorretto (es. ovviare in modo errato, giocare da un posto sbagliato, ritardare il gioco, ecc.) o in malafede (es. calcio alla pallina, omettere di contarsi dei colpi, ecc.) dovrebbe intervenire infliggendo le sanzioni previste.
Sicuramente il ruolo di “educatore” ha la sua importanza: il miglioramento del livello generale di conoscenza delle regole ha ricadute positive sulla bontà dei risultati delle gare, sia perché i giocatori saranno più consapevoli dei comportamenti corretti da tenere nelle varie situazioni, sia perché a loro volta, essendo al tempo stesso anche marcatori, potranno svolgere in modo più incisivo questo importante compito.
Allo stesso modo non possiamo dimenticarci dell’importanza del ruolo di “guardiano” e di “giudice” quando le situazioni lo richiedono: qui, a parere di chi scrive, l’inflessibilità deve essere assoluta per salvaguardare l’attendibilità dei risultati e per ricordare a chi se lo fosse dimenticato lo Spirit of the Game: altrimenti non è più golf, è altro.
P.S. A questo proposito, che dire del cambio di rotta da parte della Federazione che non richiede più il superamento dell’”esame delle regole” per poter scendere in campo preferendo un approccio più soft. Forse per rimuovere quello che poteva essere visto come un ostacolo all’avvicinamento al golf da parte dei neofiti? Siamo sicuri che sia la mossa giusta? Cosa ne pensate?
© Influgolfer
Un chiarimento: può l’arbitro suggerire il motivo per cui si potrebbe droppare senza penalità? es. La palla era in un impronta di ruota di trattore, il giocatore chiede di droppare perché c’è acqua calpestando vicino alla palla. L’arbitro dice che è tutto asciutto però può droppare per via dell’impronta del trattore. È giusto che suggerisca il motivo?
Grazie per l’interessante quesito. Il nostro parere è che l’arbitro deve, a rigore e in senso strettamente tecnico, fornire tutte le informazioni al giocatore solo se su richiesta specifica dello stesso e limitatamente alla richiesta. Non può pertanto fornire ulteriori informazioni. Nel caso proposto pertanto la risposta è no: deve vietare la possibilità di ovviare per mancanza della condizione di acqua temporanea e non deve fornire, se non richieste, eventuali altre opzioni possibili.
Nelle gare amatoriali di circolo (le c.d. “coppe fragola”) tenderemmo invece ad assumere una posizione più “educativa”, come suggerito nell’articolo.